Questa emergenza sanitaria ha messo in luce la qualità e l’efficacia del lavoro svolto da chi si occupa da anni di comunicazione della scienza. Molti giornalisti e divulgatori scientifici si sono distinti in tale caos occupandosi della vicenda con approccio non sensazionalistico, facendo uso di quelle accortezze e di quegli strumenti (interdisciplinari) che, tra l’altro, il gruppo di ricerca PICS ha delineato e condiviso attraverso la pubblicazione realizzata al termine del primo anno di lavoro.
Un ruolo fondamentale è quello della comunicazione del rischio. Di fronte a una situazione di pericolo e incertezza, la nostra mente si avvale di meccanismi innati, come spiega il giornalista scientifico Giancarlo Sturloni sul Tascabile:
Nel caso della COVID-19 il fattore che più influisce sulla percezione pubblica è il fatto di trovarsi di fronte a una nuova minaccia. L’emergere di un nuovo agente infettivo rientra infatti nella categoria dei cosiddetti rischi emergenti, cioè dei pericoli che affrontiamo per la prima volta. Questo aggrava la percezione del rischio perché l’incertezza sulla natura del pericolo e sulle possibili conseguenze sanitarie, economiche e sociali amplifica la sensazione di non poter esercitare un controllo sugli eventi, e la mancanza di controllo è un fattore aggravante della percezione del rischio. Persino alcune reazioni indubbiamente eccessive, come fare scorte di generi alimentari, possono essere lette come il tentativo di mantenere un controllo personale sulle tante incognite che gravano su ciò che potrebbe accadere. D’altro canto, per fronteggiare l’epidemia sono state adottate misure senza precedenti e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elevato l’allerta globale al massimo livello possibile.
I comunicatori della scienza più attivi sulla vicenda coronavirus hanno scelto l’approccio della comunicazione del rischio che prevede (come indicato da David Spiegelhalter):
Per contro, diversi medici e esperti (spesso con il sostegno di giornalisti generalisti) hanno di frequente evitato di condividere con il pubblico la natura inevitabilmente incerta e provvisoria della scienza, preferendo comunicare certezze, trovandosi poi a doverle smentire e aggiustare il tiro. O a dovere fare una ricerca mirata di pubblicazioni in letteratura scientifica a sostegno delle proprie dichiarazioni. Il risultato è una guerra a suon di studi scientifici che il comune cittadino non è in grado di comprendere e che mette a rischio la credibilità del mondo scientifico e di quello della comunicazione.
11 Maggio 2020